Nel Cauca, come nel resto della Colombia è scoppiata la febbre dell’oro. Arrivano da tutti le parti del paese, spinti dal sogno della ricchezza, o forse soltanto dalla realtà di fame e di mancanza di opportunità. Poveri e sognatori, i cercatori d’oro vivono degli avanzi lasciati dalle ruspe che a centinaia distruggono fiumi e boschi, affamate dell’oro che estraggono a chili, evadendo la legge e le istituzioni, cieche o complici.
Tutti partecipano al grasso affare, le guerriglie, i paramilitari, la forza pubblica, amministrazioni locali e organismi di controllo. Di fronte al disastro, da Bogotà il governo da una parte propone che l’esercito reprima le miniere illecite, come futuro compito nello scenario di post conflitto, mentre dall’altra concede a prezzi stracciati l’oro e i minerali colombiani alle imprese straniere come Anglo Gold Ashanty, Glencore, Carbon Colombia. Pochi audaci si oppongono, offrendo i propri corpie le proprie vite in difesa della terra, dei fiumi, della autonomia e dignità.
